Di Simone Bandini

 

Che grado di consistenza ha la tua vita?

E qui per consistenza non intendendo il peso specifico della Quiche Lorraine che ti stai avidamente pappando con un calice di vino ancestrale – ricacciando altrove la meccanica consequenziale della tua giornata. Un aperitivo catartico, che tuttavia non elimina il problema (Non ti sei dimenticato vero di documentare l’accaduto vero? Nessuno fa happy hours sofisticati come te, non dimenticare il tuo valore!).

 

 

Chissà se poi tutto questo incanto del vivere si fermerà al sognante, esclusivo aperitivo. Oppure seguirà dell’altro: forse una cena in famiglia e un certo senso circolare delle cose. Poi un sonno riparatore nelle cavità perdute di un animo appiattito, un azzeramento riparatore che concederà, mirabilmente, seconde possibilità.

Ma quale problema, si dirà? Ci sono davvero delle questioni da affrontare?

Si, ce ne sono. Quella Quiche Lorraine potrà mutare, giorno dopo giorno, in un boccone avvelenato: non ti basteranno più le stravaganze che saranno solo strani e disturbanti rituali.

Non basta purtroppo qualche momento esotico, disseminato qua e là, quando lo permette la vita borghese, a qualificare il tuo percorso di vita, a definire la tua identità, a renderti degno dell’esistenza che ti è stata data; non lo sono i fatti materiali e le contingenze che compongono la tua giornata, non lo sono i tuoi denari. Tutto questo non conta: sarà nutrimento per vermi, o magari un tiepido venticello che disperderà le tue ceneri.

Siamo qua per significare, vivere e manifestare l’unicità del nostro essere, della nostra anima e del nostro respiro impermanente. Per questo non si deve cadere nella trappola demoniaca dell’indistinto, segno ‘distintivo’ del mondo moderno.

Non dobbiamo, dunque, perdere il senso del reale che ci permette una corretta, per quanto approssimativa, definizione di chi siamo – orientando le nostre azioni e statuizioni con un principio di verità, fedeltà e aderenza. In questo senso vi regalo dei ‘comandamenti’ di sopravvivenza che – se non possono liberare la vostra energia vitale e ‘viaggiare al vostro posto’ – almeno possono tenere lontani quei veleni implacabili che ammorbano un quotidiano ormai prestabilito.

Iniziamo svestendo i panni dei comunicatori seriali che siete diventati. ‘Condivido dunque sono’ non può sostituire il noto assioma cartesiano che fonda l’operato dell’uomo sulla manifestazione del suo pensiero dubitante. Basta condivisioni compulsive sui social e uso smodato della fotografia via dispositivo. Imparate a tenere per voi, gelosamente, quanto di valore emotivo, di studio o di ricerca, vi appartiene e coltivatelo nella realtà senza scadimenti inutili e didascalici.

Non scambiate la vostra identità digitale con quella reale. Dovete rispettare il senso di attualità e responsabilità che richiede la vostra vita. Per cui prendete partito a viso aperto, senza nascondervi in pretenziose e spesso vigliacche affermazioni da tastiera. Siate pronti a fronteggiare le conseguenze delle posizioni assunte. Non scappate via nell’inconsistenza digitale che si accende e spenge a piacimento. Il profilo social non potrà mai essere un alter ego consistente, ma solo un feticcio di gomma, un imbarazzante avatar infantile.

Cerchiamo di non eccedere in balistiche di natura mentale, in psicologismi e pensieri accademici che infettano la semplicità e linearità del ragionamento. Tornate a essere ciò che mangiate senza indulgere in frequentazioni cervellotiche che nemmeno voi stessi padroneggiate e che nascondono voi a voi stessi. E che artatamente complicano e ingolfano la manifestazione elementare della realtà che non abbisogna di forzature ermeneutiche.

Da ultimo rifuggite imitazione e rappresentazione. Siate invece emanazione, puntuale epifania del vostro essere nelle sue molteplici forme.

E se non sapete cosa dire, emettete piuttosto anche un suono qualsiasi – e che sia di rivolta.

 

Ascolto consigliato: Depeche Mode, “Ghosts Again”