Di Simone Bandini

 

Tutto è fissato, tranne che per chi comanda agli dèi: libero infatti è nessuno all’infuori di Zeus”.

Eschilo, Prometeo incatenato (460 a.C.)

 

“Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà di potenza”

Friedrich Nietzsche, “La Volontà di Potenza” (1885)

 

 

C’è un filo sottile, come quello cucito e preordinato dalla Parche, ad unire l’assoluta bellezza del paesaggio fisico e lo spirito dell’atleta che proporzioni e dimensioni non possiede: invisibile, non composto di parti ma di pensieri infiniti e volontà non circoscritta, l’animo tutto tende al superamento di sé stesso.

In questo atto arbitrario dell’andare oltre, del purificarsi attraverso la fatica, si manifesta lo spirito eroico dell’uomo che pianta il vessillo della libertà sopra il mondo di ciò che è necessario è già stabilito per lui.

C’è qualcosa, dunque, di trasversale a tutte le forme di atletismo, amatoriale o professionistico, che prescinde dal mero dato sportivo, dalla performance e dalle classifiche – ma che riguarda intimamente la condizione esistenziale dell’uomo: il superamento della sua condizione ‘finita’ (che pone dei limiti), il perfezionamento verso il divino e la completezza degli attributi. Se volessimo, diminuendo la quota del ragionamento, rendere più accessibile questo spunto di riflessione, potremmo dire semplicemente che il viaggio dell’atleta inizia laddove egli non si accontenta più della sua attualità, della sua condizione – veleggiando verso la sublimazione dello spirito laddove non si incontrano più barriere – e il mondo della necessità si è già trasformato nel regno della possibilità.

L’atleta fa propria la medesima vocazione di Prometeo: sottrarre il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini: in questo caso, esemplare, prenderlo per sé stesso, e per traslazione, elargirlo al resto dell’umanità: c’è un modo, esiste un passaggio alla condizione divina, dove si possono abbandonare le spoglie umane per ascendere alla luce della libertà assoluta.

L’uomo atleta esce dunque dalla sua forma umana per entrare nella sua essenza celeste non de-limitata – una scintilla che genera un fuoco universale – che è possibilità pura e, come la definì Nietzsche un secolo e mezzo fa, volontà di potenza: la vita intesa come forza espansiva e autosuperantesi, i cui principi fondanti non sono la ricerca del piacere o l’istinto di sopravvivenza, ma la spinta all’autoaffermazione e all’auto-potenziamento. E dunque, dove la fatica trova ed assume un senso del tutto ‘sacro’.

Curioso che una tale condizione si possa raggiungere attraverso l’azione: l’espressione del corpo che nell’atto atletico supera sé stessa – attraverso una sorta di devastazione, espansione della materia per fare scaturire, prodigiosamente, la luce dello spirito in essa contenuta.

Nel gesto di un atleta vive dunque la combinazione perfetta tra bellezza ed eroismo: qui la forma è sostanza, il mondo interiore retto dalla volontà e dalla libertà coincide mirabilmente con il mondo esteriore della necessità e degli accadimenti.

 

Ascolto consigliato: “The Narcissist”, Blur