DI SIMONE BANDINI

 

“Non esiste una satira più tremenda della libertà di pensiero. Un tempo non si poteva osare di pensare liberamente; ora ciò è permesso, ma non è più possibile. Si può soltanto pensare ciò che si deve volere, e proprio questo viene percepito come libertà”.

Oswald Spengler, “Il tramonto dell’Occidente” (1918-1922)

 

 

Si, mi sono sorpreso. Mi sono alquanto stupito di come la mia comunità, la mia nazione e, per quanto ci è dato di sapere, il mondo globalizzato con le sue (un tempo) caleidoscopiche espressioni – abbia reagito ad oltre un anno di restrizioni legalizzate. In nome della resistenza ad oltranza a un morbo sconosciuto – di origine naturale o meno non è dato ancora di sapere – si sono fatte barricate abdicando ai propri elementari e vitali diritti civili ed ‘esistenziali’, limitando fortemente vieppiù la libertà di movimento, di espressione e di democratica (democraticissima) aggregazione. Poche e limitate le eccezioni.

Ma per chi abbiamo fatto queste barricate, alzando dei muri invalicabili con le famiglie dirimpetto – d’improvviso assurte a infide squadracce, a bande di untori? “Per conto della borghesia, che crea falsi miti di progresso?”, cantava Franco Battiato. Non direi. Poiché la borghesia è stata annientata dal progressismo globalista che va sventolando la nuova bandiera post-marxista del primato dell’economia sulla politica. E con valanghe di denaro mantiene una pletora di nuovi mandarini cinesi alle dipendenze di grandi gruppi finanziari e di élites governative conniventi. Poi parallelamente combatte una guerra di trincea tentando di trasvalutare tutti i simboli e gli usi tradizionali della civiltà occidentale, a partire dal concetto archetipale di identità di genere.

Non sia qui – e sia chiaro – messa in discussione la liceità di queste restrizioni che, per quanto fortemente discutibili, non sono oggetto di questa dissertazione. Di certo, dal punto di vista sanitario queste hanno avuto la loro efficacia. Ma il legislatore, a nostro parere, non può limitarsi ad emanazioni che tengano conto di un solo aspetto che non è affatto esaustivo dei valori di riferimento della nostra civiltà. La salute pubblica, certamente! Ma che ne facciamo delle libertà fondamentali violate e calpestate – che dovrebbero essere le fondamenta di quanto ci hanno ossessivamente e costituzionalmente spacciato per giusto: libertà di movimento, di espressione, di aggregazione e di impresa? Le stesse libertà per le quali hanno dato la vita i nostri antenati immolandosi dal Risorgimento alla Grande Guerra. Le stesse libertà, si va dicendo, che gli stessi totalitarismi nazifascisti ebbero in spregio – ma che oggi appaiono curiosamente sacrificabili.

Forse che qualcuno abbia cambiato le regole nottetempo?

Se è incontro alla notte che dobbiamo andare, guardiamo impietoso il suo abisso.

Non siamo dei condannati a morte. Siamo piuttosto degli auto-condannati a morte. Come se non bastasse la condizione finita ed imperfetta della nostra natura facciamo scempio della libertà, della facoltà di scegliere ed essere arbitri del nostro destino – lasciando ad altri definizione, limiti e prassi della nostra esistenza.

Mi lascia piuttosto sgomento, disgustato più precisamente, la reazione dell’uomo medio alle imposizioni governative della pandemia. Non tanto perché avrebbe dovuto infrangerle o ribellarsi – quanto per averle egli stesso magnificate promuovendo uno strisciante solidarismo umano da divano, una ‘ginestrella’ che prospera nel giardinetto di casa piuttosto che, fiera, sulle pendici del Vesuvio.

 

Ascolto consigliato: “Up patriots to arms”, Franco Battiato