di Simone Bandini

 

Oggi è il giorno di Umberto Pippolini – stimato professionista ed inesauribile creativo – che ha condotto una lunga ed appassionata ricerca storico-documentale ed artistica su Francesco di Bernardone, meglio noto come San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia. Si spalancano per noi le porte dello studio di Lippiano, frazione del Comune di Monte Santa Maria Tiberina al confine tra Umbria e Toscana, dove il Santo svela a braccia aperte un carisma del tutto naturale, libero da ogni edulcorato calembour. Pungente è il freddo del mattino, severo quanto il volto affilato di Francesco.

 

San Francesco, alter Christus. Davvero emozionante la ricerca di Umberto Pippolini non fosse altro che per lo spessore della sua voce che si infiamma e si fa profetica. Ma perché è così importante, in senso simbolico, la (ri)scoperta del vero volto di Francesco nel suo dipinto? Di certo per la natura del quesito, eminentemente metafisica, che interpreta il bisogno umano di trascendenza – in questa immagine che è epifania e rivelazione del Cristo stesso, mistero della vita nel suo ‘alto fattore’. Una vista che soddisfa un desiderio immediato: la necessità esistenziale di abbracciare il Sacro, di averne una percezione diretta, per quanto mediata dall’arte: “Quest’immagine di San Francesco è fedele al Santo, per un motivo più intrinseco che una semplice ipotetica somma di motivi somatici; lo è perché è un’immagine che vive di un riflesso. Francesco si specchia nel volto di Cristo, e da questo deriva il proprio volto. Per questo non si mette al centro e se ne sta da parte, per quanto guarda oltre sé, per questo è sempre in cammino” (Cit. Philippe Daverio).

D’altra parte, in questo mondo moderno che ha già consumato il suo ‘funerale del Sacro’, dominato dall’omologazione tecnologica, dal relativismo e dall’indistinto morale, la natura può restituirci un orientamento, una direzione e un centro. In questa immagine, uno spiccato naturalismo artistico getta un’ancora a chi ancora si interroga e cerca un senso allo smarrimento ed al vuoto esistenziale che lo assedia.

Questo ritorno alla natura nella sua essenza fondante e chiarificatrice, dopo il rigorismo metafisico di Papa Benedetto XVI, si convalida pienamente nel pontificato di Papa Francesco che nella sua azione incoraggia vigorosamente una sorta di ‘riduzione e semplificazione’, promuovendo un naturalismo, vieppiù sociale, ed un certo nuovo pragmatismo operativo.

L’Affresco di Cimabue “Madonna in Maestà” che reca l’immagine del Santo (1278), conservato ad Assisi nel transetto destro della Basilica Inferiore di San Francesco, è una delle primissime rappresentazioni che ne riproduce i tratti, suggeriti dal suo primo biografo Fra’ Tommaso da Celano. “Si ha davvero la sensazione che dovesse avere proprio quell’aspetto e quella faccia”, ci dice sempre Daverio, pensando ad una ‘intuitività sintetica dei geni’. Che sia il Matteo di Caravaggio, il Gesù del Tributo di Masaccio o la Maddalena di Giotto – “chi dubita che (Francesco) non fosse davvero così?”. “Lo vediamo piccolo, tutto di un pezzo, con uno sguardo pungente; se ne sta un po’ in disparte, sulla destra del trono (sulla soglia, verrebbe da dire…) e ci guarda frontalmente, con uno sguardo tanto profondo, tanto umano, quanto libero da ogni patetismo”.

Umberto Pippolini – che è stato fortemente influenzato da Daverio nelle sue riflessioni ed applicazioni – dona al suo Francesco un volto “con uno sguardo secco e pungente, tanto profondo, quanto umano”. Nell’artista il Sacro diviene esperienza individuale e medesima universale, la Verità ‘si fa’ mentre accade, è natura manifesta.

 

Ma c’è un altro ‘naturalismo’, emotivo, nella ricerca spasmodica di una ‘verità vera’, che distingue l’opera di Pippolini, il quale ci racconta di “aver messo San Francesco dentro al suo saio, con la pezza rattoppata del mantello di Santa Chiara”, sempre esposto nella Basilica di Assisi.

La ricerca storiografica e documentale di Umberto si arricchisce, infatti, dopo la lettura della “Legenda Maior” di San Bonaventura, biografia ufficiale del Santo adottata dall’Ordine Francescano dei Frati Minori. Ivi si racconta come San Francesco volle che i suoi seguaci vestissero l’abito dei contadini del tempo, gli stessi ‘contadini umbri’: come una sorta di sacco, una balla con uno ‘scollo’ e ‘due buche’ per le maniche. Alla tonaca poi è stato aggiunto un cappuccio per il freddo e per ripararsi dalla pioggia. “Riguardo alla pezza bianca, al rattoppo della veste – prosegue l’artista – esiste una fondata teoria di una storica del tessile svizzera, tale Mechthild FluryLemberg, per cui Santa Chiara avrebbe preso dei pezzi del suo mantello per riparare la tunica del Poverello. Le molte pezze marroni cucite con cura, inclusa la manica sinistra che ho fotografato pezzo per pezzo nella Basilica di Assisi appartennero pare allo stesso mantello di Santa Chiara”.

A San Bonaventura da Bagnoregio, inoltre, si attribuisce il “Sermo di Sanctissimo Corpore Christi” scritto per ordine di Papa Urbano IV, il quale, nel 1264, fu testimone e si impressionò moltissimo durante una messa alla vista dello sgorgare di sangue dalle ‘particole consacrate’ (le reliquie, n.d.r.) di San Francesco. Fu così che in seguito, lo stesso Papa indisse la celebrazione del Corpus Domini, incaricando lo stesso Bonaventura ed il filosofo dominicano Tommaso d’Aquino di formalizzare il culto.

San Bonaventura rese chiaro nel suo “Sermo” l’intento di far capire alle genti come San Francesco, per la sua “vita santa”, fosse da considerare l’immagine di Cristo Crocifisso: proprio come Gesù, a dorso nudo con le stimmate, le mani ed i piedi trapassati ed il petto trafitto.

Umberto si dice “convinto che l’immagine più fedele del Santo sia quella del dipinto originale di Cimabue – quella del 1278 e non di quella attuale che purtroppo ha subito nei secoli ridipinture e manomissioni. Questa immagine è il riflesso del ‘volto di Cristo’ (Cit. Daverio) e del ‘Cristo Crocifisso’ (Cit. San Bonaventura) ed è esattamente ciò che ho voluto rappresentare”. 

Questa è la potenza dell’epifania di San Francesco: un altro uomo, un altro volto, si sono illuminati lasciandoci in eredità un’altra esperienza del Sacro.

 

Ascolto consigliato: “Lullaby” di Riz Ortolani, Colonna Sonora del film ‘Fratello sole, sorella luna’ di Franco Zeffirelli (Paramount Records, 1972)

 

Lo studio dell’artista Umberto Pippolini si trova a Lippiano di Monte Santa Maria Tiberina (Pg). Per prenotare una visita e contattare l’artista: Tel. 348 7996631