di Jori Diego Cherubini

 

 

Teatri Folk (Ianva)

 

Non so se il pubblico aduso a leggere queste righe abbia mai ascoltato gli Ianva, gruppo neofolk dal passo marziale in grado di rimandare ora alle colonne sonore di Morricone, ora a grandi nomi come De Andrè, Battisti, Mina e Gabriella Ferri, o a crooner internazionali come Scott Walker e Jacques Brel, sempre mantenendo un loro canone personalissimo e distinguibile. Senza timore di smentite, sono tra i gruppi italiani, italianissimi, migliori della nostra epoca. Con loro è sempre presente una schiera, sebbene non fittissima, di fedeli ammiratori. I medesimi, noi compresi (eureka), che la sera del 4 novembre – Festa nazionale delle forze armate – figuravano tra gli sparuti astanti all’interno dell’ineffabile Teatro Farnese di Parma. Un ambiente spettacolare, che ancor dopo le bombe della Seconda guerra mondiale conserva la ricordanza fastosa della vita di corte degli omonimi duchi. L’occasione era d’oro, irrinunciabile e forse irripetibile: ammirare l’ardita compagine esibirsi – di nuovo, dopo tanto tempo – dal vivo all’interno del festival Il rumore del lutto (arrivato all’edizione XVII) il cui motto è «Vivi intensamente, abbraccia ogni istante». E in un istante si abbassano le luci, ed è subito notte. Ed è subito luce. Dagli alti palchi rischiarati di magenta appaiono le sagome dei musicisti vestiti di nero. Qualche istante e si è immersi nell’atmosfera primo-novecentesca del concerto, uno spettacolo definito dal Foglio: «Il più estetico di sempre». Si parte con «Portatori del fuoco» e «Il bello della sfida», pescati da «La mano di Gloria» (2012). Si prosegue con Renato Mercy Carpaneto e Stefania T. D’Alterio – anime in audacia sintonia – perfettamente coadiuvati dai musicisti, da una tromba e da una sessione ritmica calibrata in un rigore marziale e fiero, fino a giungere all’impresa di Fiume raccontata da «Disobbedisco!», il capolavoro del 2006. Nel mezzo brani come «Muri d’assenzio», «Luisa Ferida» (autarchica diva), «La ballata dell’ardito», «L’occidente», e la conclusione affidata alla domanda (retorica) «Dov’eri tu quel giorno?». Uscendo dal Complesso monumentale della Pillotta siamo elettrici e orgogliosi e pronti a prenderci la notte di Parma, e forse anche quella di Fiume.

 

 

Teatri punk (Cccp)

 

Da Parma a Reggio la distanza è breve. Allora eccoci a raccontare un altro evento storico nel giro di pochi giorni e chilometri, all’interno di un teatro all’italiana dall’inusitato splendore ottocentesco, il Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia. Siamo in prima fila al Gran galà punkettone dei Cccp. E non ci si crede. Il pubblico, commosso dal semplice esserci, aspetta i Cccp (Fedeli alla linea), benché nessuno sappia esattamente cosa aspettarsi dalla serata, concerto o semplice intervista? Attraversato il foyer veniamo cordialmente indirizzati alle poltroncine in platea. Dopo alcuni minuti l’occhio di bue illumina il chitarrista Massimo Zamboni – vestito in frac -; dalla chitarra partono le note di «Annarella» e dalla platea sbucano Giovanni Lindo Ferretti e Annarella Giudici a braccetto, come se il tempo non fosse mai passato, in un eternarsi incondizionato di passato e presente: «Lasciami qui, lasciami stare, lasciami così/ Non dire una parola che non sia d’amore».

Si capisce che non si tratta di un’intervista ma di un concerto, il sogno allora si materializza e il resto è storia, per quanto recentissima. Alla fine – gran tripudio – saranno addirittura dieci i pezzi con un GLF in spolvero, dove su tutti i brani proposti spicca un’«Emilia Paranoica» suonata con due batterie «come avrebbe dovuto essere». Fatur (artista del popolo) e Annarella (benemerita soubrettes) nobilitano il momento con invenzioni degne del migliore teatro d’avanguardia. Non manca un «momento salotto» dove i musici vengono intervistati da una preparata Daria Bignardi. Durante lo spettacolo i sentimenti alternati sono gioia e incredulità. La fine è affidata a «Amandoti»: «Che vuoi farci è la vita/ È la vita, la mia». Sipario. Lacrime.