Di Simone Bandini

 

“Il vergine, il vivace, il bell’oggi d’un colpo

d’ala ebbra quest’obliato, duro

lago ci squarcerà, sotto il gelo affollato

dal diafano ghiacciaio dei non fuggiti voli!”

 

Stephane Mallarmè, “Il vergine, il vivace, il bell’oggi”, Poesie (1887)

 

 

Prendiamo spunto dal celebre ‘Sonetto del cigno’ di Stephane Mallarmè, il più aristocratico e tragico dei poeti decadenti francesi, per buttare giù uno sguardo sulla condizione umana, in particolare sulla saldatura misteriosa e archetipale tra la condizione estetica ed etica, ideale e materiale di ogni uomo che possa dirsi tale.

Una creatura bellissima il cigno – che incarna la potenza epifanica della bellezza – il cui slancio vitale rimane tuttavia intrappolato nel lago ghiacciato, a voler manifestare l’inconciliabilità di idealità e prassi materiale, essenza e manifestazione. L’animo, l’assoluto spirituale, non trova rappresentazione nel mondo fenomenico della possibilità: il cigno non spiccherà il volo.

Ebbene cosa ostacola e ‘impedisce’ la nostra carismatica creatura? Di cosa è allegoria il diafano lago ghiacciato?

Ve lo spieghiamo noi.

Quel ghiaccio trasparente, baluginante, è la distesa paralizzante del ‘tempo materiale’ – la paralisi della condizione umana dove ‘trascorrere’ significa ‘decadere’.

Quel tempo rettilineo legato all’osservazione della ‘differenza’, del cambiamento, della ricombinazione e dunque del decadimento – quel tempo fenomenico così banalmente razionale ed umano – è causa di una malattia mortale: la condizione meramente materiale, limitata e finita – in discrasia totale con l’essenza assoluta e infinita dello spirito, delle idee, del pensiero.

Pur lasciando alla re-ligione dell’aldilà l’eternità dell’animo, vediamo come scampare in questo mondo dalla trappola letale cui siamo ontologicamente sottoposti.

Ci salveremo giocando con il tempo: calibrando il battito d’ali verso la vittoria, la scalata, la conquista.

Dovrà essere coltivato e incarnato – e non solo inscenato in senso borghese – questo volo del cigno, come una ‘sbornia’ metafisica e virtuosa, ubriacandoci di noi stessi, temibilmente e sul serio. Uno stato di grazia, divinatorio. In fil di metafora pelagica una ‘cavalcata in cresta d’onda’.

Pienezza sic et simpliciter, aderenza, adesione incondizionata, irragionevole.

Rompiamo il ghiaccio con un colpo d’ala, ebbro, nell’aldiquà come semidei immortali.

 

Ascolto consigliato: “Indian Summer”, The Doors

 

 

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