Di Simone Bandini

 

“Ogni borghese, nell’ardore della giovinezza, fosse pure per un giorno, per un attimo, s’è creduto capace di immense passioni e di straordinarie gesta. Il più incapace dei libertini ha sognato delle sultane, ogni notaio porta in sé i ruderi d’un poeta.”

Gustave Flaubert, “Madame Bovary” (1856)

 

 

Parto col rispondere ad un quesito che avevamo posto al termine di un precedente editoriale, scritto dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca: sarà egli stesso a guidare il necessario processo riformatore del capitalismo?

Pare proprio di sì, e nello specifico, facilitando il divorzio tra capitalismo e democrazia celebrato dai miti contemporanei della libertà e prosperità americani. Un matrimonio che si spenge dopo un secolo e mezzo di felice convivenza.

Ma è la democrazia a salvare sé stessa, o piuttosto il capitalismo che trova applicazioni politiche diverse?

Proviamo a rispondere utilizzando la Bibbia del pensiero politico moderno, “La Democrazia in America” (1835) di Alexis de Tocqueville, rilevando come il tentativo di annientamento dei ‘corpi intermedi’ della nazione, specie quelli non conformi e allineati, sia oggi all’ordine del giorno. Per l’autore francese, fine conoscitore del sistema politico americano e dell’animo umano, i corpi intermedi – come le associazioni, le comunità religiose, culturali e produttive sono fondamentali in democrazia – poiché impediscono quella che egli definisce la dittatura della maggioranza, tutelando l’universalità dei diritto, quindi anche delle minoranze e impedendo che l’individuo, isolato e senza capacità di comunicare nella società democratica, possa perdere il senso immediato e visibile di collegamento con il potere, cadendo nella solitudine esistenziale e nell’alienazione sociale.

In una democrazia robusta, i corpi intermedi hanno dunque un ruolo orchestrale, ponendosi come meccanismo di garanzia tra l’individuo, lo Stato e la società – favorendo la partecipazione, la libertà e la protezione dei diritti universali.

Ebbene si vede chiaramente come la punta della piramide, il Presidente fatto monarca, si adoperi per annullare la dispersione del potere in mille organismi di influenza e rappresentanza, tornando a meccanismi decisionali ed operativi più immediati e diretti, eminentemente personali pro domo sua. Di converso è indubbio come la base, il popolo con facoltà di voto, guardi con favore ad un ritorno carismatico del potere, in grado di rendere visibile i suoi valori e le sue aspirazioni.

“La pretesa di azzeramento della distanza tra chi governa e chi è governato minaccia direttamente la funzione rappresentativa, che si è gradualmente strutturata e rafforzata all’interno delle democrazie liberali soprattutto attraverso i corpi intermedi”, ci viene in aiuto il saggista Antonio Campati che getta luce sulla teoria politica della distanza democratica, intesa come quell’area intermedia tra rappresentanti e rappresentati all’interno del governo rappresentativo.

Non devo spiegarvi come la platea americana sia un laboratorio avanzato sulle ‘tendenze’ in arrivo nel Vecchio Continente: dalla tecnologia al cinema, dalla musica al costume, dall’economia alla politica. Appare chiaro a tutti, a prescindere dalla formazione e dagli orientamenti personali, come questi conflitti, questa sorte di guerra civile – ricordiamo il recente omicidio di Charlie Kirk – e questa nuova aria autocratica, stiano già sbarcando in Europa, imbambolata da lunghi anni di pace ‘economica’ e ‘borghese’, oggi alle prese con i problemi dell’immigrazione incontrollata e di una guerra alle porte. Non è la democrazia a fare gli uomini, quanto piuttosto il contrario. Non sarà la democrazia rappresentativa, come la conosciamo, a fare il nostro tempo.

 

Ascolto consigliato: “Brown Sugar”, Rolling Stones

 

 

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