Di Simone Bandini

 

Meno comunicazione, più verità.

 

“Il mondo vero raggiungibile per il saggio, il pio, il virtuoso, – egli vive in esso, egli è esso”.

F. Nietzsche, “Crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello” (1888)

 

È necessario interrogarsi sul contenuto di verità veicolato dal nostro linguaggio.

Perché dico questo?

Perché, se come abbiamo già rilevato, è il linguaggio a definirci in una prospettiva di identità e individuazione, esso dovrà essere coerente con la sua essenza profonda, ovvero il nucleo di verità della soggettività che esprime.

Altrimenti rischia di essere un esercizio assolutamente inutile, vuoto, che, al di là della manifestazione di istanze primarie (ho fame, ho sonno, ho voglia di fare l’amore), termina il suo compito in modo autoreferenziale, senza produrre alcun reale confronto, scambio e ‘crescita’ tra esseri intelligenti.

Ma come ha fatto il linguaggio a sublimarsi in ‘comunicazione’, questo concetto ormai irrimediabilmente accademico che ha traslato la questione su un piano trascendente? Una disciplina che si è concentrata sui modi e i vezzi estetici del dire e del rappresentare, perdendo gradualmente di vista la ‘verità’, l’impellenza e l’aderenza al reale di quanto vuol essere manifestato, espresso.

Un linguaggio che ha perso la sua funzione – che dovrebbe essere, di contro, proiezione consapevole e autentica del proprio sé, volontà di fare, intraprendere ed evolversi in modo ‘virile’ e costruttivo.

Noi vogliamo tornare, invece, a questo senso tradizionale del linguaggio – le cui espressioni sono verificabili e misurabili nell’io, dove la coerenza è legge universale e non c’è più distanza tra emanazione del pensiero ed azione cogente, parole profferite e fatti di convalida.

In questa torbida modernità, si potrebbe dire che le parole e i ‘segni’ siano codificanti e non de-codificanti un pensiero, un’intuizione, uno stato d’animo, poiché divenuti significanti di per sé, nuove entità semiotiche che hanno dimenticato la loro scaturigine e vivono ormai di essenza autonoma, robotica. Il linguaggio si è ribellato ai suoi padroni. Da mezzo, il linguaggio si è fatto fine a stesso – conquistando un nuovo status ontologico, indipendente ed evolutivo, come fosse, per usare una prospettiva ahimè tanto in voga, una grande intelligenza autonoma, artificiale, un altro da sé.

Perché questo? Come siamo arrivati fini a qui?

Il declino della civiltà occidentale – che appartiene ad una precisa filosofia della storia – è legato indissolubilmente alla interiorizzazione contemplativa dell’io. Un processo guidato dal cristianesimo nel corso magmatico di due millenni – che ha allontanato il pensiero dall’azione, la giustizia da questo mondo e posta nell’altro – che ha assegnato il bello alla poesia, alla letteratura e specialmente all’arte allontanandolo dal vero, dalle gesta, dal mito e dall’epica pagana. In una parola, da una necessaria convalida, da un espletamento, seppur metaforico e rituale, nel reale.

Un processo disgregante che potremmo riassumere come ‘estetizzazione del reale’: il bello si allontana dai fatti, dall’azione, per diventare possibile narrazione. Il bello non si incarna più, si sublima e perde il suo contenuto di verità.

Un percorso culminato nel capitalismo, con gli esiti commerciali de-ontologici della mercificazione, con il materialismo più sinistro che squalifica l’uomo e lo riduce in catene, confinato nel regno dell’utile, schiavo di meri meccanismi causali.

Cosa possiamo fare oggi?

L’impressione, un po’ tragica e se vogliamo anche comica, è che il contenitore (la persona) sia già irrimediabilmente vuoto.

Noi di Valley Life incoraggiamo un linguaggio tradizionale che torni alle origini – che sia manifestazione dell’essere. In queste pagine si mostrano pensieri e si leggono storie, si vedono immagini riconducibili a volti. La tensione del racconto è funzionale all’identità, quindi all’attualità.

Un linguaggio che non vive di vita propria ma che possiede la forza e il coinvolgimento di chi rappresenta ed esprime: aderente, fedele al reale.

Non una forma di ‘comunicazione’, giammai una moda culturale.

 

Ascolto consigliato: “Incoscienti giovani”, Achille Lauro

 

 

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