Smart Life Smart life o stordimento or dizziness

 

Di Simone Bandini

 

“Il ritorno alla civiltà era per Linda tornare al soma, era la possibilità di restare a letto e di prendersi una vacanza su vacanza, senza doverne mai ritornare con un’emicrania o una crisi di vomito, senza mai più provare ciò che provava dopo il peyotl, come la sensazione di aver fatto qualcosa di così vergognosamente antisociale da non poter più portare la testa alta”

Aldous Huxley, Il Mondo Nuovo

 

La nostra è davvero una vita smart? Un’esistenza ‘intelligente’ che contiene soluzioni pratiche e metodologiche alle questioni poste dalla modernità?

Sì certamente. Possiamo fare videoconferenze, comunicare efficacemente, utilizzare devices e softwares tecnologici che ci semplificano la vita. 

Sì, lo sappiamo fare. Benissimo la coeva Generation Z, altrettanto bene i Millenials o ‘nativi digitali’, discretamente noi della Generation X, arrancano con successi alterni i nostri genitori Baby Boomers (ed uso volutamente termini anglosassoni poiché nella loro alienata accezione amplificano con un esotismo la loro validità a prescindere, a priori). 

È un fatto. Tutti siamo e ci sentiamo in qualche modo solidali a questo moto positivistico e progressivo. Ne siamo in larghissima parte incoscienti, non ci pensiamo e ci lasciamo trasportare dalla corrente principale (mainstream), dal pensiero unico uniforme e globalizzato che non ha argini apparenti, ma solo orizzonti a venire. D’altronde ci si riesce bene poiché, con buona pace dei ‘terrapiattisti’, ruotiamo sospesi nel vuoto siderale ad una velocità di oltre 1600 km/h. Ma non lo percepiamo, il sistema è stabile. E la stabilità crea assuefazione, visioni distorte e di comodo, gioco forza generando false convinzioni.

Sono questi stessi strumenti (tools) ed automatismi ad allontanarci da noi stessi. Dal senso stesso di essere uno, dall’esercizio dell’arbitrio e dalla costruzione di una volontà e qualità individuale, dall’avere un’identità, una posizione e una direzione. Lo strumento di per sé, la tecnologia medesima, diviene essa stessa ragion d’essere e causa assiologica sufficiente. È una nuova moralità, universalmente valida, che impoverisce letalmente la nostra percezione di ‘ciò che è vero’ e ‘ciò che è giusto’, di ‘ciò che è nostro’. E che ci invita ad abbandonare questa prospettiva, svuotandola di significato.

Si evocano facilmente gli scenari cinematografici degli anni ’80 e talvolta anteriori, fino alla pellicola archetipo “2001. Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, quando la fantascienza immaginò un mondo futuro dominato dalla tecnologia e dalle macchine in scenari di controllo sulle masse e violenza diffusa, consumismo e mercificazione ad oltranza, esasperata informatizzazione della società. In cui l’uomo avrebbe combattuto, in qualche modo, per recuperare la sua umanità, libertà ed arbitrio – facoltà oramai gestite dal controllo e dall’indirizzo codificato dei robots. Erano il secolo ed il millennio scorso e vigeva una netta distinzione tra uomo ed automa come altro da sé, con vita ed essenza ontologica diversa, complementare. Questa distinzione era spesso romanticamente immaginata come una contrapposizione. 

Ecco, guardate, questo scontro non è già più attuale mentre l’individuo si avvia alla disgregazione attraverso l’omologazione e la codificazione tecnologica e al suo bieco scadimento commerciale: l’uomo abdica alla sua indipendenza ed unicità, al pensiero altro, vieppiù spesso rivoluzionario, oppositivo, negativo e pessimistico della migliore tradizione europea. L’uomo è finalmente solo un consumatore, svenduto a piccoli piaceri immediati assolutamente ‘smart’, forniti abilmente e puntualmente dai media, dal mondo dell’entertainment e dai governi stessi, fintamente democratici e conniventi, che elargiscono misure coercitive e ad un tempo assistenziali, promuovendo così facendo un nuovo parassitismo sociale e produttivo. Mentre chi vuol essere padrone di sé stesso, con la sua integrità da funzionario del vecchio mondo o con la sua partita iva, che crepi pure. E nemmeno con onore.

Ascolto Consigliato: “Stuck in a moment you can’t get out of”, U2