Di Claudia Stocchi
La musica è la parola che mi sta accompagnando da tutta la vita. Ricordo il giorno in cui, entrando nella Chiesa di San Cassiano a Venezia con mio nonno, rimasi rapita da uno strumento elegante, misterioso, quasi magico: l’arpa. Fu un colpo di fulmine, e da allora non l’ho mai più lasciata.
I miei genitori, colti e appassionati d’arte, mi sostennero fin da subito. Mi hanno donato tutto ciò che potevano, anche se la mia mamma se n’è andata troppo presto, lasciandomi appena ventenne. Con lei e con mio padre ho avuto i più grandi tifosi, insieme a mia sorella Benedetta, la mia alleata di sempre.
Fin da bambina mi hanno ripetuto che ero “grande, bella e forte”. Mia madre mi ricordava che la mia sensibilità non era un difetto, ma una dote preziosa. E aveva ragione: è quella sensibilità che mi rende appassionata e intensa, desiderosa di vivere cogliendo tutto ciò che la vita mi offre.
Musica e disciplina (scelte e sfide)
La musica per me è sempre stata una scelta, ma anche una sfida. Gli anni al Conservatorio e all’Accademia di Roma mi hanno insegnato quanto fossero necessari impegno, costanza e coraggio. A volte mi venivano proposti brani difficilissimi per mettermi alla prova: eppure, nonostante i dubbi, il mio carattere caparbio mi spingeva a tentare sempre.
Anche lo sport, praticato da ragazza, mi ha insegnato disciplina e sacrificio. Le vittorie e le sconfitte in vasca si sono trasformate in una forza che ho portato dentro la musica.
L’arpa è uno strumento complesso, che richiede tempo, forza e coinvolge tutto il corpo – mani, piedi, testa e cuore. Non la cambierei per nulla al mondo: mi ha dato tanto e, seppur mi abbia tolto molto, mi restituisce ogni volta la parte migliore di me stessa. Nei concerti e nelle cerimonie si crea un’atmosfera unica, un dialogo silenzioso con chi ascolta, fatto di respiri e vibrazioni irripetibili.
Resilienza e rinascite
La vita mi ha posto davanti a prove difficili. Negli ultimi anni ho affrontato dieci interventi, momenti di dolore e la paura di dover rinunciare alla musica. Spesso gli artisti non vengono compresi come gli sportivi, e questo mi ha fatto sentire fragile e sola. Poi ho incontrato due medici straordinari: il dottor Paolo Dolci e il professor Matteo Guzzini, che hanno creduto in me e nel mio diritto a continuare a suonare.

Il 3 febbraio 2025 ho vissuto il momento più duro: una caduta mi ha compromesso il pollice sinistro, un arto fondamentale per un’arpista. Sembrava la fine di tutto. E invece il professor Guzzini ha avuto il coraggio di proporre un intervento mai tentato prima su una musicista: l’impianto di una protesi trapezio-metacarpale. Il 6 marzo mi sono sottoposta all’operazione e, grazie alla sua fiducia e alla mia determinazione, ho affrontato una riabilitazione lunga e faticosa. A giugno 2025 sono tornata a suonare. È stata una rinascita: un’emozione pura, come la prima volta che da bambina accarezzai le corde.
In questo percorso ho trovato anche l’appoggio di Pietro Morbidelli, costruttore di arpe, che mi ha donato “Infinita”, uno strumento speciale che porto nel cuore. Le cicatrici che porto con me non mi spaventano: raccontano la mia storia, sono la mia ricchezza.
Credere in Orsola
Oggi continuo a vivere la musica con gratitudine e passione. Mi sento come una fenice che ogni volta cade, brucia e poi rinasce più forte.
Credo in Orsola. Credo nella musica che porto dentro e che desidero condividere con chiunque sappia fermarsi ad ascoltare. Il mio sogno è portare l’arpa su grandi palcoscenici, ma soprattutto trasmettere un messaggio semplice e universale: l’arte ci insegna a rallentare, a sentire, a vivere più intensamente.
Dedica finale
Questa mia rinascita non sarebbe stata possibile senza l’incontro con persone straordinarie che hanno reso possibile l’impossibile.
Il professor Matteo Guzzini, con il coraggio e la visione di impiantare una protesi trapezio-metacarpale mai utilizzata prima su un’arpista, ha restituito alla mia mano – e alla mia vita – la possibilità di continuare a suonare. La sua ricerca costante di nuove tecniche chirurgiche, meno invasive e più rispettose delle persone, è un dono prezioso non solo per i musicisti, ma anche per sportivi, lavoratori e artisti che affrontano sfide simili.
Accanto a lui, il dottor Paolo Dolci, che con competenza e umanità mi ha accompagnata in tante battaglie, e Pietro Morbidelli, che con la sua arpa “Infinita” ha acceso nuovamente la mia voglia di suonare.
A loro va la mia gratitudine più profonda: la mia resilienza e le mie rinascite portano anche il loro nome.
Un grazie speciale va infine alle mie figlie Elena e Anna, che hanno sempre creduto in me e mi hanno spronata a dare il meglio di me stessa, anche nei momenti più difficili.
