Gordon Breckenridge

Ho conosciuto Gordon Breckenridge un paio di anni fa, in Valdorcia, al ristorante. Per ventura in un giorno fuori dal tempo, al fresco di un glicine, gustando specialità toscane. Già allora mi colpì la sua generosa socievolezza e la sua voglia di comunicare, tipica di un’artista che è anche un ‘sapiente’, un filosofo a modo suo: “Vieni a trovarmi a San Gimignano nel mio studio, quando potrai”, mi disse. Non ho voluto mancare alla parola data quel giorno, intuendo già allora come non fosse stato un incontro accidentale.

Mi piace guardare alla vita di Gordon Breckenridge ed alle sue epifanie artistiche attraverso il tenerissimo, seppur severo ricordo di giovane artista, apprendista nel celebre studio fiorentino di Nera Simi in Via Tripoli: “Siamo tutti figli di una madre – la Signorina (Simi, n.d.r.) è stata la mia seconda madre, la mia madrina artistica. Non sarei mai stato in grado di sviluppare le mie doti senza il suo insegnamento: lei è parte di ciò che sono oggi. Ne è stata l’essenza, fornendo ciò che mi necessitava per proseguire il mio cammino artistico durante tutta la mia vita. È stata una donna pura: il rispetto per i suoi valori e la sua moralità sono state per me come delle fondamenta sulle quali costruire”. 

Gordon BreckenridgeQuale ‘papavero per l’anima’, si potrebbe dire con Nietzsche, queste parole di Gordon che – artista e uomo esperto della vita con i suoi inganni – si lascia andare ad una dichiarazione d’amore incondizionata per colei che è indiscutibilmente stata il suo maestro d’arte e di vita. Nell’epoca degli autodidatti ad oltranza, digitalizzati ed instupiditi, questo omaggio all’umiltà, allo studio ed al sacrificio giunge come un vino fresco e profumato in un’arida sera d’agosto. 

Gordon ricorda in particolare un aneddoto fondamentale: mentre stava lavorando con altri allievi al modello di un piede, dopo averlo volutamente ignorato per un po’, Simi si avvicinò e gli disse: “Questo è quanto di meglio riesci a fare con i tuoi occhi”. Una freccia ermetica, enigmatica che lo avrebbe tormentato a lungo senza una adeguata comprensione: “Per mesi ho meditato sul significato della lezione che ricevetti quel giorno. La Signorina mi spiegò che vi sono scale in arte proprio come nella musica: impari a riconoscerle quando passi dal rappresentare solo ciò che vedi, a disegnare in modo che si manifesti ed emerga ciò che non può essere visto”.

Il segreto del metodo Simi giaceva tutto nell’evitare di concentrarsi nel dettaglio lavorando invece su piani ampi, su larga scala. Gordon ha fatto progredire nella sua estetica questa genesi giovanile: la sua è una pittura intuitiva certo, ma specialmente ‘filosofica’ e di sistema – che ha imparato a procedere dall’universale al particolare in modo induttivo: l’alta via dello spirito, l’Idea che anticipa le forme e ne rappresenta l’origine primigenia.

Senza dimenticare una nozione fondamentale! Ovvero come la presenza di piani più scuri o più luminosi possa influenzare la prospettiva dei valori tonali dell’osservatore: la giustapposizione di due piani, l’uno scuro e l’altro luminoso fa in modo che quello più chiaro appaia ancor di più luminoso vicino alla linea di intersezione con quello più scuro, mentre il piano più scuro sembri ancora più buio vicino a quello più chiaro. Poi la Signorina era passata oltre a discutere dei ‘passaggi di luce’: nell’incontro di due piani con gradazioni diverse, c’è un punto lungo la loro linea d’intersezione dove la percezione di questa linea scompare non appena i loro valori tonali si mescolano, poiché diventano gli stessi. Tutto questo concorre alla formazione di ciò che si definisce un ‘passaggio di luce’.

Gordon Breckenridge“Quando i valori di questi piani sono stesi correttamente”, spiega Gordon, “non c’è bisogno di evocare dei passaggi di luce poiché essi si formano automaticamente nella posizione giusta. Se un dipinto è fatto nelle solide fondamenta di valori tonali corretti su larghi piani, ‘il quanto di meglio si possa fare con gli occhi’ emerge naturalmente”.

Una volta fuori dallo Studio Simi, l’artista di origine canadese prese a dipingere paesaggi en plein air sulle colline di Firenze. Un giorno mostrò uno dei suoi lavori alla Signorina che, senza pensarci due volte fece un commento sul cielo. “E’ solo una macchia blu!”. Così mi insegnò un altro canone tecnico ed estetico fondamentale, ovvero il principio base nella pittura del paesaggio: se il cielo non è a posto, se è solo un simbolo, nulla nel resto del dipinto può funzionare.

In tutti i dipinti, un solo valore scorretto pone la sincronia complessiva in pericolo; nei paesaggi il potere del cielo è assoluto.

Le memorie di Gordon diventano così purissime: “Dopo aver preso il controllo e la padronanza di questi valori con l’insegnamento di Nera Simi, ti senti come un ragazzo che ha appena imparato a ballare ed ora può farlo con il suo partner: la tela. Ho imparato a non dipingere, ma a disegnare – la mia mano disegna con il colore”.

Il Gordon di oggi, dopo quarant’anni passati a dipingere en plein air, non ha dimenticato quel lontano ricordo, volendo catturare l’essenza ‘ontologica’ della luce e del colore della Toscana: “Così sono passato dalla conoscenza alla ricerca della luce e del colore anche fuori nella natura, dando alle persone la possibilità di percepire la vera luce della Toscana”. “Quello che io dipingo è la luce, non la forma”, conclude.

 

Per visitare l’atelier di Gordon Breckenridge e vedere le sue opere, solo su appuntamento: Piazzale Martiri di Montemaggio 1, San Gimignano (Si) / Tel. 333 8611635 / gordonbreckenridge08@gmail.com / www.artgalleryintuscany.com