di Simone Bandini

 

“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio… Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”.

Haruki Murakami, “Kafka sulla spiaggia”

 

Quello che esattamente vi si chiede è il ribaltamento di questa banale prospettiva, un po’ puerile e nevrotica come lo sono i giapponesi dopo il 45’. Tutti abbiamo bisogno della nostra tempesta da attraversare; ma non a queste condizioni, di vigile e fatalistica passività. Siate voi a scegliere la vostra tenebra, coltivatela. Siatene consapevoli. Che la natura e la necessità non si prendano il primato che spetta invece allo spirito e alla libertà. “Se non fai mai niente di diverso, niente cambierà davvero”, mi ripeteva spesso il mio allenatore in preparazione della maratona di Reggio Emilia. Correva l’anno 2010 e mi ero proprio intestardito: volevo scendere sotto le 2’40” nella mia seconda sfida ai 42 km e 195 metri.

Fu così che mi imbarcai in un programma di potenziamento fisico per superare la routine di allenamenti che aveva portato ad una stasi nei risultati. Al mattino una serie consistente di balzi, scatti, corse calciate ed esercizi a corpo libero, poi nel corso della giornata la sessione di corsa – per la quale la natura mi aveva dotato in modo formidabile. Un fuoco sacro acceso dentro di me, da rattizzare con cura sacerdotale. Elasticità, potenza e resistenza: un mantra tripartito, sacro, ossessivamente onorato sull’altare degli allenamenti quotidiani. Un inno al superamento continuo dei propri limiti, non v’era mai spazio per la resa né per la prudenza di una navigazione sotto costa. Frecce scagliate sempre più lontano, oltre la nebbia, in cerca di nuove terre. Sedute talvolta massacranti, prima e dopo lunghe giornate di lavoro – per nascita e ventura votate all’esercizio dell’intelletto ed alle relazioni umane, altri miei straordinari talenti.

Nemmeno nei tempi di vacanza (intesa come ‘assenza’, sì ma da sé stessi, n.d.a) si poteva indulgere in cedimenti e pericolosi ozi. Ricordo come fosse oggi la sessione in piena notte di tapis roulant all’aeroporto di San Jose dopo la trasvolata oceanica insonne – oppure le 20 variazioni da 2” in salita sulle pendici del vulcano Arenal di cui rammento un’immagine fugace: le verdissime foglie della foresta nebulosa bucherellate dai lapilli. Linfa e lava, flemma e sangue come due forze escatologi – che in perfetta crasi. Certo non vi si chiede una tale iperurania qualità umana – che appartiene ad una strettissima élite della popolazione mondiale. Sia per ora richiesto solo il ‘sentimento’ di questa qualità, ovvero la tensione verso di essa. Quella radice dell’essere, altra e superiore, che si raggiunge solo con l’ardimento, il distacco e la ‘vittoria’ su sé stessi – con il superamento di quel quotidiano meramente operativo, scadimento della nostra unicità di monadi. Che ci fa con(m)prendere e partecipare del divino. Siate oltremondani.

 

Ascolto Consigliato: Franco Battiato, “Gestillte Sehnsucht” (Johannes Brahms)