di Simone Bandini

 

Ecco. Dov’è finito il pensiero? “Eppure ce l’avevo qua un attimo fa!”, risuona un celebre motivetto.

 

E con il pensiero la libertà, nel suo senso più elevato che contempla vieppiù rivolta e trasgressione. Questa grande moderna sconosciuta. Caduti entrambi sotto i colpi dell’assoluto tecnologico e tecnocratico, nuovo feticcio di politici e burocrati progressisti, unionisti ad oltranza, sacerdoti del culto di un’umanità infinitamente governabile e perfettibile nella domanda e nei consumi.

I filosofi non si interrogano più? Pare che non ci sia più bisogno. Ci pensano i ‘bloggers’, gli ‘influencers’, i ‘mainstream’, gli ‘haters’, i ‘transgenders’ o chi volete voi. Tutti con pari dignità e pari diritti.

Una comunicazione iper-individualista completamente estemporanea e frammentata, lanciata nel vacuum della rete senza alcuna origine comprovata, né storia accademica, sociale od estetica che dir si voglia.

Perché il grande pensiero europeo ed americano, la civiltà occidentale (che non mi si dia del ‘razzista’ per questa terminologia impropria!), non vede come sia necessaria, urgente, non più rinviabile, una riforma del sistema capitalistico – che dai panni dei mercanti della Firenze rinascimentale giunse ai Padri Protestanti della Mayflower che gettarono nel Nuovo Mondo il seme della felicità in terra e della grazia mondana, ispirati da una religiosità fervente e fondante.

Questi non avrebbero mai potuto immaginare quanto, ciò che si chiamerà libero mercato, avrebbe ‘deviato’ lo spirito in tempi moderni, una volta persa la tensione metafisica e cominciata la festa del materialismo, questo volgare impellente desiderio di accumulo di denari ed oggetti che, per loro stessa natura, si ‘contano’ e non generano felicità durevole, né individuale né collettiva. Un meccanismo al quale si lega perfettamente la radice impersonale della tecnologia virtuale.

Perché non restituire proprio ai filosofi il ruolo guida che loro compete, affinché sia la conoscenza, il pensiero, la struttura che partorisce la realtà e orienta le scelte della politica e non la mera economia, la ripetizione di un mantra ormai superato che non genera se non tristezza ed uniformità culturale.

Cominciamo a mettere seriamente in discussione quanto la logica del ‘maggior profitto’ sia ormai una pericolosa ed ingiusta deriva, che un rifinanziamento ad oltranza di economie parassitarie non sia più tollerabile quanto non lo è l’usura – e che il rispetto della ‘natura’, quanto quello dello ‘spirito’, debbano riavvicinarsi in senso ‘re-ligioso’ e ritrovarsi nel genio civilizzatore che abbiamo svenduto per quattro soldi.

Cominciamo dalla carta stampata. E dalla sua autorevolezza.  

 

Ascolto consigliato: Il mio pensiero, Luciano Ligabue