Di Simone Bandini

 

“Chiedete ad un rospo cos’è la bellezza, il bello assoluto, il to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno”.

Voltaire, Dictionnaire Philosophique (1764)

 

 

Gli antichi lo sapevano.

Non si deve rompere l’ordine naturale delle cose.

L’uomo cerca da sempre nella natura quell’equilibrio orizzontale, di orientamento e azione, che le possibilità verticali del suo pensiero lui stesso precludono.

Nell’etimo stesso della parola ‘de-generazione’ traspare chiaramente e senza ombra di dubbio un giudizio storico e culturale assiologico, di merito. Diciamolo pure chiaramente: una valutazione negativa, di allontanamento e perdita – poiché concerne la distanza da una condizione ideale e naturale delle origini. Una condizione ‘giusta’ che traccia il confine tra l’era classica e quella moderna: dall’uomo con il suo centro, identitario e appartenente, all’uomo ‘de-centrato’, lontano dalla sua essenza.

Questo attributo di aderenza e fedeltà alla natura – con il suo istinto di ‘generazione’ che ne è legge primordiale – è dunque la ‘funzione di genere’: maschile e femminile, marziale e venerea (nel senso sacro e non medico del termine!).

La ‘confusione dei generi’, o meglio l’affermazione vistosa e pedissequa di talune frange politiche, culturali e specialmente artistiche – legate al basso mondo commerciale dell’intrattenimento (entertainment nella versione albionica, c’est a dire più appropriata) – trova nei contesti più lontani dalla natura, appunto, il suo coronamento: in quel pensiero urbano, metropolitano e simil-universale, de-generato e de-naturato, che impazza nelle nostre città e che instupidisce i più con un inganno mortale: la patina della modernità, in una sintesi di libertà e intelligenza che, tristemente, non sono altro che una finta e apparentemente innocua trasgressione, dagli esiti etici e morali potenzialmente letali (sic!). Per averne immediata dimostrazione empirica, sia sufficiente gettare uno sguardo sul folclore, ahimè spesso psicopatologico, delle nostre civilissime, fluide e futuribili, magnifiche e progressive ‘nuove generazioni’.

Che non si offenda nessuno! Passiamo all’etologia, sia solo per alleggerire l’argomento, prendendo spunto dal comportamento di alcune varietà di uccelli che, negli ultimi decenni, si sono inurbati e massificati, potremmo dire, con un salto di specie, ‘omologati’.  Mi riferisco ad esempio a dei passeriformi come gli storni, oppure ai colombacci della famiglia dei columbidi – migratori che un tempo si avvistavano e cacciavano sui passi dell’Appennino, tal quali creature mitiche, sfuggenti e leggendarie, che oggi si affollano instupidite in parchi e giardini cittadini come preda di un sortilegio, venduti anch’essi alla logica esistenziale dell’utile urbano. Vogliamo poi parlare dei verdissimi cocoriti che sorprendono le famigliole con melodie aliene e tropicali? O forse dei gabbiani che volteggiano sinistri sulle discariche, dimentichi della loro fierezza – ricordate la ballata di Coleridge? Che dire infine della perduta astuzia e destrezza di un merlo che chioccola, solo e desolato, spiumato e albino, tra suv e utilitarie cinesi che sfrecciano – invece che cantare la sera nel silenzio dei fossi.

Oggi con ragioni molto maggiori – dalla sovrappopolazione urbana all’inquinamento, dall’indistinto etico e morale alla confusione dei generi, torniamo alla natura per ritrovare questo equilibrio perduto. Non sentite voi questa urgenza? Di sfuggire a queste vere e proprie metastasi della modernità?

Non sentite, dunque dentro di voi, questa voce interiore, questo richiamo dei boschi e delle selve?

Prendetelo come un ‘fiore del bene’ che vi porgo: tornate alla campagna, alla natura, tornate a voi stessi, al vostro centro. Ribellatevi da chi vi vuole non più solo dei buoni selvaggi – ma anche e specialmente degli utili idioti. Non siate i cantori della vostra stessa insulsa, nemmeno più decadente, mediocrità. Per essere decadenti occorre cadere: si presuppone dunque, se non una posizione elevata, almeno una postura eretta.

 

Ascolto non consigliato: Rosa Chemical, “Made in Italy”