Di Gaia Rialti
Menabòh e il nuovo paradigma della circolarità creativa.
Negli ultimi decenni, la moda si è trasformata da linguaggio di espressione a ingranaggio perfetto di una macchina del consumo. I ritmi di produzione sono aumentati vertiginosamente: negli ultimi quindici anni, il numero di capi prodotti ogni anno è più che raddoppiato, mentre il loro utilizzo medio si è drasticamente ridotto. Oggi, oltre l’80% degli abiti acquistati resta inutilizzato e ogni persona, in media, produce più di 11 chili di rifiuti tessili all’anno.
Questo sistema – il classico modello “take-make-waste” – si fonda sull’estrazione di risorse finite, la produzione intensiva e lo smaltimento precoce. Il risultato è un’industria tra le più inquinanti al mondo: responsabile di fino al 10% delle emissioni globali di CO₂, protagonista di una sovrapproduzione sistemica che, ogni anno, vede milioni di capi invenduti finire in discarica o direttamente bruciati. A pagarne il prezzo non è solo l’ambiente, ma anche le persone: la filiera produttiva della moda, infatti, è spesso teatro di sfruttamento, precarietà e condizioni di lavoro degradanti.
Ma mentre il sistema scricchiola, cresce una nuova consapevolezza. E in questo spazio di crisi, si fanno largo idee che rimettono al centro il significato autentico del vestire.
Nel dibattito contemporaneo sulla sostenibilità, la moda ha spesso cercato rifugio in soluzioni superficiali: collezioni “green”, materiali riciclati, campagne marketing focalizzate sull’impatto positivo. Tuttavia, ciò che serve oggi non è un miglioramento estetico di un sistema difettoso, ma un cambiamento strutturale. Occorre spostare lo sguardo: dal volume alla qualità, dalla quantità all’identità.
Sempre più consumatori, soprattutto tra le nuove generazioni, cercano abiti che raccontino una storia. Il desiderio non è più collezionare oggetti, ma esprimere sé stessi attraverso ciò che si indossa. Il nuovo lusso è personale, intimo, e si costruisce sull’unicità di un capo, sulla sua capacità di durare nel tempo, sul valore affettivo ed estetico che porta con sé.
In questo nuovo scenario si inserisce Menabòh, un progetto che sfida le logiche della produzione tradizionale e propone un’alternativa concreta: dare nuova vita ai capi esistenti, trasformandoli attraverso l’upcycling in pezzi unici, carichi di significato.
Menabòh: trasformare, non produrre
Menabòh non è una casa di moda come le altre. Non disegna collezioni stagionali, non produce in serie, non insegue trend. È una piattaforma, una comunità creativa, un servizio sartoriale diffuso. Ma soprattutto, è un’idea forte: che ogni capo, anche il più dimenticato, possa diventare qualcosa di nuovo. E che dietro ogni trasformazione ci sia una storia da raccontare.
Il processo è semplice: l’utente seleziona un designer tra una rete di professionisti, carica la foto del capo che vuole trasformare e racconta la propria visione, il proprio desiderio. Dopo pochi giorni riceve una proposta creativa su misura, con un’ipotesi di lavorazione. Se accetta, spedisce il capo e riceve a casa il suo nuovo pezzo. Un capo che è ancora “quel” capo, ma che adesso ha un significato nuovo, una forma nuova, una vita nuova.
Tra le storie che hanno preso vita grazie a Menabòh, ce ne sono alcune che incarnano in pieno la potenza emotiva di questo processo creativo.
Francisco: un pantalone, un manifesto
Francisco è un artista e performer. I suoi abiti non sono semplicemente vestiti, ma estensioni della sua identità. C’era un paio di pantaloni in pelle nera, nel suo armadio, che aveva segnato un momento di audacia, di rivolta estetica. Ma con il tempo quel capo era diventato una gabbia: rigido, statico, lontano dal suo presente. Eppure, separarsene non era un’opzione.
Francisco è arrivato da Menabòh con un desiderio chiaro: trasformare quel pantalone in qualcosa che parlasse di sé oggi, del suo spirito libero e della sua visione artistica. La designer che ha preso in carico il progetto ha ascoltato la sua storia e ha proposto un intervento pittorico diretto sul capo. È nata così una Medusa ispirata a Caravaggio, reinterpretata con un’estetica drag, potente e sensuale. Il pantalone ha smesso di essere solo un capo, ed è diventato un manifesto. Un’opera d’arte da indossare, un nuovo linguaggio del corpo e dello stile.
Vittorio: la memoria del padre, lo sguardo del futuro
Vittorio studia Fashion Design. Il suo armadio è pieno di suggestioni, tessuti, sperimentazioni. Ma c’era una giacca che non riusciva a integrare nel suo mondo: un capo in velluto appartenuto a suo padre. Di qualità eccellente, ma con un taglio ormai distante dai codici estetici contemporanei.
Con Menabòh ha intrapreso un percorso di co-creazione. Ha scelto un designer con cui dialogare, ha raccontato la storia della giacca e il suo desiderio di darle nuova voce. Insieme, hanno ridisegnato la silhouette, reso più moderno il taglio, ridefinito le spalle e personalizzato le maniche con inserti in denim, scelti dallo stesso Vittorio. La giacca, oggi, unisce affetto e stile, memoria e innovazione. È diventata un capo che racconta un’eredità, ma con parole nuove. Un gesto di riconciliazione tra passato e presente.
Cristina: streetwear con un’anima
Cristina ha sempre amato la moda streetwear. I suoi capi sono statement, dichiarazioni quotidiane di indipendenza e creatività. Eppure, nel suo armadio giaceva una felpa che le era stata regalata anni fa: un capo con un valore affettivo, ma ormai distante dal suo gusto. Invece di liberarsene, ha scelto di trasformarlo.
Con l’aiuto di Menabòh e del team di designer, ha ideato un progetto sartoriale che ha rivoluzionato completamente il capo. Sono state aggiunte applicazioni in tessuti di recupero, creando un collage dinamico e vibrante. La felpa è stata anche ridimensionata per adattarsi a un fit più moderno e contemporaneo. Il risultato è un capo unico, perfettamente in linea con il suo stile, ma anche carico di significati personali. Una dimostrazione tangibile di come l’upcycling possa essere non solo sostenibile, ma profondamente espressivo.
Paola: indossare un ricordo
Per Paola, il legame con gli abiti va oltre l’estetica. Dopo la perdita della madre, si è ritrovata con diversi capi appartenuti a lei. Tenerli nell’armadio era importante, ma non bastava. Sentiva il bisogno di portarli con sé, di renderli parte della sua vita quotidiana.
Con Menabòh ha selezionato alcuni di quei capi e li ha affidati al processo di trasformazione. Ogni intervento è stato pensato con delicatezza, per mantenere intatta l’anima originale del capo ma reinterpretarla nella forma e nello stile. Una camicia, un cappotto, un paio di pantaloni: ogni pezzo è diventato una piccola cerimonia intima, un gesto d’amore. Oggi, Paola non solo indossa quei capi, ma vive con loro un dialogo continuo, quotidiano. Come se ogni cucitura fosse un ricordo.
Un nuovo modo di pensare l’armadio
L’obiettivo di Menabòh non è soltanto creare capi unici, ma anche innescare un cambiamento culturale. In un’Italia dove l’upcycling è ancora una pratica poco conosciuta, la sfida è dimostrare che si può essere cool anche facendo “shopping nel proprio armadio”. Che si può continuare a cambiare, evolversi e raccontarsi, senza per forza comprare qualcosa di nuovo.
Cambiare abitudine d’acquisto è difficile. Siamo abituati a cercare gratificazione immediata, a cedere all’impulso dell’offerta, alla promessa del “nuovo a tutti i costi”. Ma oggi più che mai, è necessario imparare a guardare con occhi diversi quello che già possediamo. Scoprire che ogni capo può essere un inizio, non una fine.
Menabòh vuole essere il punto di riferimento di questo cambiamento. Una nuova cultura del vestire, dove la moda torna a essere arte, identità, cura. Dove l’abbigliamento non è solo consumo, ma relazione. Con sé stessi, con la memoria, con il pianeta.
La moda ha bisogno di essere ripensata.
Valley Life ti invita a scoprire come cambiare il tuo modo di vestire raccontando la tua identità.
Visita www.menaboh.com. Ogni capo ha una storia da raccontare. Tu, quale vuoi scrivere?